
Mike Westbrook, il senso del ritmo continuo
Dal vivo il guru del british jazz con uno show ispirato a Caspar Wolf, pittore svizzero del '700
MARIO GAMBA [il manifesto, 22 marzo 2006]
ROMA
Che idea per musicisti di jazz britannici ispirarsi alle opere di un pittore svizzero del '700 specializzato in paesaggi alpini! Eppure, a parte il rispetto che si deve a Caspar Wolf, il pittore in questione, l'idea funziona. Grazie all'estro e al raziocinio dell'ensemble guidato da Mike Westbrook, compositore bandleader pianista e solista di euphonium di lunga storia, uno dei nomi che hanno fatto in modo che esistesse una scuola, per quanto ricca di esperienze eterogenee, chiamata british jazz.
Al Club La Palma la sera del 16 marzo Westbrook era in scena con l'inseparabile partner nella musica e nella vita, la moglie Kate Westbrook, vocalist e solista di corno francese (una signora che preferisce usare il cognome del marito, in questo tradizionalista, ma solo in questo). Il gruppo, che ha eseguito con poche varianti quella specie di songbook intitolato Art Wolf, titolo anche del cd uscito da poco, era completato (ma che comprimari di lusso! spesso meglio dei loro due leader) dai sassofonisti Pete Whyman e Chris Biscoe. Songbook, abbiamo detto. Perché il programma consisteva in una serie di tredici brani in gran parte con testi, scritti da Kate. Quasi sempre la vocalist, prima di intonare le melodie, certo non proprio di canzoni come si intendono di solito, niente pop né simil-pop, piuttosto echi daWeill a Broadway con iniezioni generose di cultura avant-jazz, prima di intonarle recitava le parole delle vere e proprie poesie tradotte in italiano da Sergio Amadori. Recitazione un po' da teatro «di cantina» e magari con ricordi di Carmelo Bene, qualche leggera esasperazione kabarettistica. Ma poi veniva il canto e lì Kate esibiva gusto stranito, cultura amplissima e originalità. Dolcemente mentale, in prevalenza: proprio con la dolcezza che solo il pensiero caldo può contenere e diffondere. Mike al pianoforte, in genere. Arpeggi sobri, lirici, ma neanche una sbavatura e, soprattutto, un tocco scabro e una capacità di mettere idee pur nella pura decorazione di un preludio o di un accompagnamento. Si capiva quanto jazz e musica contemporanea avesse macinato nella sua vita di musicista sapiente.
Tra le parti cantate, che non erano, però, disposte in modo scontato, all'inizio e di nuovo alla fine, ma potevano cadere in punti diversi del brano, si insinuavano in assolo i due sassofonisti. Incantevole al sax soprano Pete Whyman: ha mostrato come si fa melodia, nel senso comune della linea di note cantabili e carezzevoli, ignorando le melensaggini sia nella sonorità sia nel fraseggio. E l'altro? Chris Biscoe (tutti e due sono compagni di strada da una vita di Westbrook)? All'alto-sax filava via scioltissimo e riflessivo, con qualche reminiscenza di Paul Desmond ben rivissuta. Poi c'erano le parti d'assieme, quando i due coniugi Westbrook imboccavano euphonium e corno francese e unendosi ai due sax davano vita a unisoni che riconciliavano con l'idea un po' logora dell'unisono. Melodie complesse morbide, sapori d'Europa in avanzatissimi pub e jazz-club e (forse) night-club.
L'ensemble, accattivante, aveva anche il suo momento d'orgoglio avant-garde, quando decideva di eseguire un lungo preludio free, si fa per dire, per usare un termine, si trattava di musica contemporanea pura, scritta ma con le movenze magnificamente attuate dell'improvvisazione collettiva. Musica contemporanea ma con quel groove che solo chi sa di jazz può possedere. «L'artista lupo ghigna/nelle fauci della morte », cantava Kate più avanti. E Mike la accompagnava con un «basso continuo» di euphonium, borbottante, un po' tipo musica per banda, strana cosa davvero. E perfetta.